È un titolo tutt’altro che banale… e tutt’altro che “pop” è questo suono che sa tanto di America. Far di conto con l’onestà, la consapevolezza e quel certo “vedere l’insieme” che passa anche dentro un punto di vista da cambiare, forse, per accogliere il diverso. Blynch sforna un nuovo singolo dal titolo “Quello che siamo” dentro cui l’amore torna centrale nelle liriche… ma è un amore che si costruisce anche con una cura verso l’altro, come una semina lenta e delicatissima.

Domanda filosofica per iniziare: quanto è difficile essere quello che siamo?
Essere “Quello che Siamo” è sicuramente la sfida più complessa che la vita ci pone davanti. Nasciamo, cresciamo, e veniamo da subito inseriti in un contesto in cui sembra che quello che siamo non vada mai del tutto bene. Siamo portati a cambiare, adattarci, correggerci e talvolta finiamo per perderci e dimenticarci di chi siamo veramente. Ad un certo punto della crescita essere “Quello che siamo” diventa tanto spaventoso, perché vi associamo tutte le paure legate all’inadeguatezza di quello che “non dovevamo essere”, quanto rassicurante, perché fa crollare tutta una serie di inutili muri e ci fa tornare in contatto con la nostra vera essenza.

Questa canzone è servita a te stesso per capire quello che sei o senti il bisogno solo di condividere questa cosa con noi altri?
Posso dire di aver scritto per una persona la canzone che avrei voluto che qualcuno scrivesse per me, e sono tanto felice che sia riuscita in questo intento. Io e questa persona condividiamo un universo intero di essenze, e ci ritroviamo nelle stesse e identiche cose, ergo, in un certo senso, ho parlato molto anche di me. Volevo scrivere una canzone che portasse amore direttamente all’essenza senza passare per il guscio, e credo di esserci finalmente riuscito. Attraverso di essa, ho scoperto tanto di me quanto di quello che le altre persone ricercano nelle cose: vogliamo amore, un amore che arrivi nel profondo e che ci faccia sentire amati per quello che siamo.

E questo disco, perché “Bordibianchi”? Che bel titolo…
“Bordibianchi” è un disco che racconta del passato, una rielaborazione di vecchie emozioni in una modalità nuova, che tende a definire ciò che prima era stato lasciato a metà. Richiama un po’ l’atto di spolverare le pagine di un vecchio album fotografico e raccontare delle storie legate alle foto.
Si chiama “Bordibianchi” come i bordi che circondano le polaroid, solo che più che di un album fotografico staremmo parlando della mia adolescenza: molte di queste canzoni sono state scritte quando avevo poco più di 17 anni. Ho cercato di porre sotto una luce diversa questa delicata fase del mio passato, in modo chiaro e leggero, per poterlo accettare ed andare avanti. Chiudere un capitolo aperto da troppo, dirmi addio per un’ultima volta e lasciare che la vita mi porti altrove. Ho vissuto un’adolescenza in cui ho dovuto, per forza di cose, tenermi tutto dentro fino alla totale repressione. Così facendo mi sono portato dietro numerosi strascichi di cose che avrei voluto fare ma che non ho mai fatto, o di parole che avrei voluto dire e non ho mai detto. Con ben 10 anni di ritardo, eccole qui. Tutte contenute in questo EP. Ora posso finalmente riporre il mio album fotografico sulla polverosa mensola da cui l’ho tirato fuori, e scattare delle nuove foto.

Come a dire che i nostri confini devono essere luoghi di pace e non luoghi a cui è vietato avvicinarsi?
Difficile da definire. Il confine in sé è un qualcosa che viene vissuto in modo molto complesso, perché il suo concetto un po’ limita la nostra libertà in quanto esseri famelici di spazio, metaforico o fisico che sia. Eppure talvolta torna utile, perché delimita, assieme alle cose positive, anche quelle negative. Grazie ad un confine posto in modo corretto, posso capire fino a che punto preoccuparmi per qualcosa e non andare oltre. Troppo spazio fa male, e troppo poco spazio fa peggio. Un confine sano è quello dettato da una piena consapevolezza del sé: il sapersi avvicinare a qualcuno dovrebbe includere il sapersi avvicinare a sé stessi. Le altre persone sono universi a parte, e per potervi entrare in contatto è necessario conoscere a fondo il nostro. Essere noi, essere “Quello che Siamo” e saper rassicurare lə prossimə che veniamo in pace.

E tu personalmente? Hai una vita dai “bordi bianchi”?
La mia vita assume dei “bordibianchi” solo quando la guardo al passato, quando passa il giusto tempo ed ho modo di trasformare le esperienze in ricordi. I bordibianchi rappresentano un po’ quegli elementi che aggiungiamo al nostro passato quando lo guardiamo dal presente ma che, ai tempi, non ne erano parte: a volte lo idealizziamo, altre volte lo demonizziamo, io l’ho reso migliore della mia vita odierna per troppo tempo. Ho trasformato il mio passato in un luogo ameno che la vita mi ha ingiustamente portato via, senza rendermi conto che non era realmente così, e che la gioia che cercavo era nel presente. I bordibianchi sono parte integrante del ricordo, ma credo sia sempre fondamentale distinguerli bene dalle foto che racchiudono.